LE ABITUDINI
– terza parte
di Valeria
Rago
Nadia si incamminò verso la fermata dell’autobus in
uno stato di trance, non vedeva nulla e rischiò di travolgere un cagnolino
minuscolo che cercava con calma il posto giusto dove fare i bisogni. Lo sguardo
assassino del padrone del cane fu l’unica cosa di cui si accorse. Arrivò a
piazza Vittoria senza dare più nemmeno un’occhiata al mare lungo il percorso,
aveva nelle orecchie le parole della sua amica e il cuore pesante. Alla fermata
non c’era posto per sedersi, stando in piedi con le braccia strette al petto
cercò di concentrarsi sugli altri. Una donna con i capelli di un rosso
innaturale stava dicendo a qualcuno al telefono che il colloquio era andato
male, di nuovo. Due ragazzini si sfidavano a chissà quale gioco con i
rispettivi cellulari, gli sguardi furtivi che lanciavano intorno rendevano
evidente che non avrebbero dovuto trovarsi lì. Una signora era seduta
pesantemente, la borsa nera posata sulle gambe e le braccia sopra di essa, lo
sguardo era rivolto diritto davanti a sé, perso in qualche punto della sua
vita. Nadia non voleva prendere l’autobus, voleva camminare ma il ritorno a
casa sarebbe stato davvero troppo lungo a piedi, così optò per un compromesso
e, scesa a piazza Municipio, si avviò di buon passo. Arrivata a piazza Bovio
era già in un bagno di sudore, l’aria era non calda ma appiccicosa, sul mare
non se ne era resa conto. Lungo il Rettifilo la gente era tanta, chi parlava al
telefono, chi guardava le vetrine, chi semplicemente passeggiava, come se a
quell'ora del mattino già non avesse uno scopo. Iniziò la salita di via
Mezzocannone osservando gli universitari sempre di fretta, probabilmente
dovevano seguire corsi in diversi edifici e non avevano tempo da perdere. Beh
nemmeno lei ne aveva, doveva studiare, gli esami non erano lontani e mancava
ancora un bel po’ prima di potersi definire preparata. Ma Nancy…si fermò di
colpo nel mezzo del marciapiede, costringendo quello che sembrava un professore
ad una deviazione improvvisa. Nancy aveva sbagliato, punto. Non doveva essere
così cattiva, avrebbe dovuto capire la situazione ed appoggiarla. Nadia sapeva
che quella del progetto in America era un’occasione, ma non se la sentiva, non
se la sentiva proprio. Questa decisione non era stata nemmeno frutto di lunghe
discussioni con i genitori, di riflessioni approfondite, conflitti interiori e
valutazioni dei pro e dei contro, assolutamente no. Il professore un giorno
l’aveva convocata nel suo studio, le aveva presentato la proposta e concesso
qualche giorno per pensarci. Dopo due ore Nadia era di nuovo da lui con un
netto rifiuto e i sentiti ringraziamenti per aver pensato a lei. Semplicissimo,
nessun dubbio, nessun ripensamento. Una musica dolcissima la ridestò dai suoi
pensieri: era arrivata a piazza San Domenico Maggiore dove il solito violinista
di strada allietava i passanti con la sua bravura. Un’amica studentessa di
lettere le aveva raccontato di quanto fosse meraviglioso trovarsi a studiare
nella biblioteca universitaria che affacciava proprio sulla piazza, il silenzio
della biblioteca interrotto solo da quel suono che filtrava dalle finestre,
sembrava di essere in una fiaba. Nadia non stentava a crederlo, anche lei era
ferma lì ad ascoltare, la gente le passava vicinissimo sfiorandola ma lei non
se ne accorgeva. Fu tentata di camminare verso Piazza Del Gesù, perdersi tra la
folla per poter riflettere, ma l’esigenza dello studio la riportò alla realtà,
spingendola ad iniziare di nuovo a salire verso il Policlinico. Nancy non
poteva capire, aveva due fratelli e genitori piuttosto giovani, non conosceva
il peso di dover pensare da sola ad una madre e ad un padre di una certa età
che magari da soli sarebbero andati in depressione. No, era impossibile, aveva
fatto benissimo a non informarli nemmeno. Aveva evitato discussioni inutili e
bugie, perché loro di sicuro avrebbero mentito per spingerla ad andare,
assicurandole che se la sarebbero cavata. E poi non voleva lasciare la sua
città, allontanarsi dagli amici di una vita…le belle serate a guardare film
insieme o in giro per locali. Gli amici erano fondamentali per lei, come
avrebbe fatto senza? E poi dov'era la tragedia? Anche se dopo la laurea avesse
preso le redini del negozio paterno sarebbe stato comunque un lavoro no? Non
era esattamente la sua passione, questo era vero, ma la sua vita sarebbe stata
bella, proprio come se l’era sempre immaginata. Nancy, prima o poi, avrebbe
accettato e capito, doveva capire. Ancora musica, questa volta veniva dal
conservatorio, c’era anche una voce, un soprano forse, che si esercitava. Salì
i gradini verso piazza Bellini con il sorriso sulle labbra, adorava quella
piazza. Le era sempre sembrato un luogo quasi parigino, in cui artisti e
letterati potevano incontrarsi per prendere un caffè. Immaginava le dotte
conversazioni che si sarebbero tenute ai tavolini dei bar ed aveva sempre
pensato che quello sarebbe stato il posto ideale per riunire i pittori e far
esporre le loro opere. La vedeva così, e le veniva sempre da ridere al pensiero
che i pittori lei se li immaginava tutti più o meno simili: gilet, basco in
testa e macchie di colore sparse qua e là. Si era lasciata un po’ troppo
influenzare dai film e dai libri. Mentre saliva ancora si sentiva serena, in
pace con sé stessa e anche le parole di Nancy le apparivano meno gravi.
Arrivata davanti al portone di casa non aveva più dubbi, il futuro sarebbe
stato come l’aveva pianificato, Nancy l’avrebbe perdonata ed avrebbero
continuato serenamente la loro amicizia, senza che nulla potesse modificare il
corso degli eventi.
Il mare quel giorno era incredibilmente piatto, una
tavola. Il sole del pomeriggio era caldo ma piacevole, tutta la giornata era
stata splendida. Nancy osservava da lontano Castel dell’Ovo, il gigante buono
che si adagiava leggero sulle acque. Non sembrava un luogo reale. Via
Caracciolo era abbastanza viva, molti avevano approfittato del clima piacevole
e si erano riversati in strada. Bambini in bici, cani a spasso, turisti che
facevano foto, due innamorati che si baciavano poco più in là appoggiati al
muretto. Wow, quante vite tutte insieme, si trovò a pensare Nancy. Tutti
condividiamo gli stessi spazi e li riempiamo con le nostre storie, senza mai
incontrarci veramente però. Era bello osservare, ormai non faceva minimamente
caso agli sguardi rivolti verso di lei: una sedia a rotelle ha sempre la
capacità di attirare l’attenzione. Aveva poco tempo, sperava che Nadia si
sbrigasse. Proprio in quel momento una mano le si posò su una spalla e l’amica
apparve trafelata, prese posto sullo stesso punto del muretto, quello di
sempre. Nancy sentì un tuffo al cuore. Non ne avevano parlato più dell’America,
si erano più o meno riappacificate ma la verità era che Nancy avrebbe dovuto
dirle una cosa e non l’aveva ancora fatto, non sarebbe stato piacevole. «Allora
come va lo studio?», chiese per iniziare a parlare. Nadia scoppiò a ridere,
«Oddio uno strazio, sono distratta e non mi piace quello che devo studiare. A
volte i docenti proprio non si rendono conto di quanto possano essere pedanti,
alcune cose sono superflue. Appena avrò dato questo cavolo di esame io e te
andiamo a festeggiare nel nostro solito locale, è davvero troppo che manchiamo
da lì!». Ecco, le abitudini, Nancy sapeva che per l’amica quella sarebbe stata
la cosa più difficile: modificare, anche se non per sempre, la propria
quotidianità. Per Nadia non era assolutamente così, anche lei amava i loro
rituali, ma non avrebbe esitato un attimo a modificarli per affrontare nuove
sfide, in effetti era quello che aveva appena fatto e non poteva più rimandare
il momento in cui avrebbe informato Nadia. «Senti Nadia, c’è una cosa che ti
devo dire e non posso più rimandare. Ho già sbagliato a far passare tutte
queste settimane. È arrivato il momento». Guardandola sempre negli occhi,
disse: «Io martedì prossimo parto. Mi hanno offerto un corso di perfezionamento
retribuito a Parigi, sai quanto amo
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