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Laureata in lettere classiche ho preso anche una specializzazione in archeologia. Mi vedevo lanciata nello studio della preistoria ma poi la passione per le lettere ha ripreso il sopravvento. Ho aiutato i ragazzi con i compiti, ho fatto la guida ai bambini per spiegare loro il favoloso lavoro dell'archeologo...ma c'era sempre questo fastidioso richiamo alla pagina stampata. Poi ho capito...la mia vita deve essere votata alla lettura e, perché no, anche alla scrittura.

domenica 17 maggio 2020

RACCONTO - SECONDA PARTE


LE ABITUDINI

di Valeria Rago


Nadia sorrise e, quando finalmente si volse verso l’amica, non c’era gioia nel suo sguardo, sembrava appagata, come se sapesse perfettamente che le cose dovevano andare così, come se fosse giusto. Quando parlò guardò di nuovo l’orizzonte, sembrava una maestrina che spiega un concetto ad uno stupido, quasi a dire “ok, io te lo spiego ma tu non capirai a pieno”. «Ma mi ci vedi in America? Lì è tutto così grande, proteso al futuro. Avrei avuto problemi già solo con la lingua, in inglese sono una capra e negli States si parla in maniera totalmente diversa rispetto a quel poco che abbiamo studiato a scuola. Oddio vivere all'americana», lo disse ridendo sonoramente, senza allegria; «mangiare uova a colazione, andare al McDonald’s e mangiare sempre e solo carne. Le feste, i barbecue. Vivere in uno di quei palazzi orribili o dividere un minuscolo appartamento con altre dieci ragazze. No, non credo. La mia vita è qui, lo sai». Nancy faceva fatica anche solo a guardarla, e così si rivolse al Castel dell’Ovo, chiedendo aiuto alle sue misteriose leggende, per aprirle la mente e farle capire di che diavolo stesse parlando Nadia. «Queste sono solo scuse, anche banali se vogliamo, e lo sai. Ma di che parli? Tu sei sempre tu, vai in America ma non vuol dire che devi dimenticare cosa ti piace e cosa no. Oddio non sei più una bambina, se non vuoi la carne non la mangi, se vuoi farti capire ti fai capire. Se non vuoi guardare al futuro allora concentrati sul presente. La vita non è esattamente una passeggiata Nadia, ma non puoi ostinarti a semplificare sempre ogni cosa. Quindi spero che tu abbia una spiegazione migliore. O una scusa migliore, o…insomma qualcosa di meglio! Un perché che non mi faccia arrabbiare, che non mi faccia sentire come mi sento adesso». Nadia e Nancy si guardarono negli occhi, a quel punto Nadia era quasi sorpresa, forse non si aspettava di perdere l’appoggio, non stavolta. «Perché come ti senti?», chiese circospetta. Nancy ci pensò su, non voleva dire cose che rovinassero tutto, però quello che le diceva il cervello doveva pur esprimersi. «Delusa. O forse più scioccata, invidiosa anche e…arrabbiata. Il destino è una linea fluttuante Nadia, ora sembra a tuo favore ma domani…non lo so. Per esperienza ti dico che una seconda opportunità non sempre arriva e comunque non sono proprio sicura che te la meriteresti». Ora era a disagio, così guardò di nuovo il mare. Nadia sgranò gli occhi, aprì tre o quattro volte la bocca ma non uscì alcun suono, esprimersi è difficile quando senti che gli argomenti non sono a tuo favore. «Ma io non la voglio un’altra occasione. Dai Nancy ci conosciamo…beh da sempre direi. Non dico che tu debba capirmi per forza però non dovresti essere così acida. La mia vita è a Napoli. Qui c’è tutto quello che voglio, gli amici, la famiglia, l’università. Perché dovrei andar via per poi vivere peggio di come vivo adesso? Spiegamelo. Ma perché devo lasciare il mio paese. No non voglio, perdonami se non fuggo via, io resto e combatto. Tanti hanno lasciato, io voglio restare qui e vedere che succede. Magari do una mano a rendere migliore la mia città, chissà. Di certo non la mollo!». Nancy avrebbe voluto scattare in piedi e urlarle contro, sarebbe stata una bella scena: «E come vuoi aiutare, sentiamo. Lo sappiamo tutte e due come finirà, ti laureerai con il massimo dei voti, probabilmente, e poi? Poi te lo dico io, metterai il tuo bel titolo in cornice e andrai a lavorare nel negozio di tuo padre. Un ingegnere che vende souvenir ai turisti, splendido. Non hai pensato che forse saresti molto più di aiuto se tornassi dall'America armata dei tuoi studi e delle tue nuove conoscenze? Non hai immaginato un futuro in cui tu, brillante laureata, dai lavoro ad altri o semplicemente li aiuti nei loro studi? Oh Dio, che spreco!». Il mare sembrava un po’ più increspato. Erano ormai parecchie le persone che facevano jogging, perse nel loro mondo di musica e battiti cardiaci. Nancy non li invidiava neanche più, tanto non faceva sport nemmeno prima. «Tu non capisci», Nadia aveva recuperato un tanto di distacco, «io non voglio deludere i miei. Sono figlia unica e il negozio di papà va bene, lui lo adora e sarebbe la sua gioia più grande vedermi prendere il suo posto. E poi cosa farebbero lui e la mamma soli per ben due anni, lo sai che non sono giovani come i tuoi genitori e hanno bisogno di un piccolo aiuto ogni tanto. Insomma non me la sento. Bisogna accettare i propri obblighi e i propri limiti». Nancy fu sul punto di scappare, invece strinse i denti e disse in un fiato: «Io sono su una sedia a rotelle da più di dieci anni, non venirmi a parlare di limiti». A quel punto a Nadia vennero meno le parole. Perché in realtà era proprio così e a volte lei lo dimenticava. Tredici anni prima di quella conversazione uno stupido incidente d’auto aveva tolto a Nancy la possibilità di camminare, per sempre. E quel per sempre aveva gettato Nadia nella tristezza più profonda, terrorizzata all'idea che ogni cosa sarebbe cambiata in maniera irreparabile. Lei e la sua amica avevano delle abitudini, dei rituali a cui lei teneva moltissimo: i tuffi dagli scogli, le corse in bicicletta nel viale davanti casa, rannicchiarsi nel loro nascondiglio segreto per parlare di quello che gli adulti non potevano capire. Tutto un mondo era scomparso dopo l’incidente e Nadia non aveva trovato la forza di reagire, così Nancy l’aveva fatto anche per lei. La verità era che le due ragazze avevano in comune solo l’iniziale del nome e la testarda convinzione che l’altra fosse la propria amica del cuore. Nient’altro, due opposti sempre insieme, sempre a sorreggersi…ma il sostegno finiva per essere sempre lo stesso, sempre lei, mentre Nadia sbandava continuamente. Quando l’aveva vista per la prima volta sulla sua sedia non aveva potuto fare a meno di piangere, mentre Nancy le sorrideva dolce e determinata. Avevano parlato del futuro, delle nuove prospettive e Nancy sembrava essere nel mezzo di una ristrutturazione, stava ristrutturando i suoi sogni e le sue aspirazioni. Nadia aveva visto i lavori in corso ed aveva tenuto a bada la paura, magari i cambiamenti sarebbero stati gestibili. Ed ora eccola lì, Nancy, incavolata perché la sua migliore amica rifiutava per l’ennesima volta il cambiamento. «Ma tu senza di me sapresti stare?», Nadia lo chiese con un tono quasi canzonatorio, dietro al quale era facile leggere la necessità di una risposta negativa. Nancy non riusciva a credere alle sue orecchie: «Non mettermi in mezzo, non osare. Sono solo due anni, e comunque io andrei avanti con la mia vita, lo sai che lo farei. Dio Nadia potresti essere fortunata e rimanere lì oppure tornare qui da vincitrice, io sarei contenta lo stesso. E poi almeno una volta ti verrei a trovare»; «Su una sedia a rotelle?»; «Si, su una sedia a rotelle. Sai che posso fare tante cose? Sai che posso addirittura salire su un aereo? E lo farei, anzi lo farò alla prima occasione. Ho spesso bisogno di aiuto, te lo concedo, ma sono viva e vado avanti. A me sembra che quella che non cammina sia tu!». «Ora non essere ingiusta!» urlò Nadia, «non sono immobile, solo altruista. Scusami tanto se penso alle conseguenze di una mia partenza. Ho dei genitori e degli amici, ma sembra che a te non interessi!». Nancy si lasciò andare, stanca, sulla sua sedia. Da lontano vide suo padre venire verso di lei. Era venuto a prenderla, dovevano tornare a casa per poi andare all'università. Nancy non era un futuro ingegnere, non sentiva di avere il cervello di Nadia ma il design era la sua passione e non aveva rinunciato, al diavolo le difficoltà. «A me non sembri altruista, mi sembra solo che usi gli altri, tutti noi, come scusa per nascondere le tue paure. Ti saluto, ora devo andare». Si mise a correre con la sua sedia e raggiunse il padre. Il percorso in macchina fu silenzioso, sembrava che Nancy e suo padre avessero altro a cui pensare. Arrivati a casa la ragazza trovò la mamma ad aspettarla sulla porta, aveva una busta da lettere nelle mani. I genitori le comunicarono, con un misto di esitazione e gioia, che era arrivata quella mattina ed era indirizzata a lei.


Continua...

 


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