LE ABITUDINI
di Valeria Rago
Nadia sorrise e, quando finalmente si volse verso
l’amica, non c’era gioia nel suo sguardo, sembrava appagata, come se sapesse
perfettamente che le cose dovevano andare così, come se fosse giusto. Quando
parlò guardò di nuovo l’orizzonte, sembrava una maestrina che spiega un
concetto ad uno stupido, quasi a dire “ok, io te lo spiego ma tu non capirai a
pieno”. «Ma mi ci vedi in America? Lì è tutto così grande, proteso al futuro.
Avrei avuto problemi già solo con la lingua, in inglese sono una capra e negli States
si parla in maniera totalmente diversa rispetto a quel poco che abbiamo
studiato a scuola. Oddio vivere all'americana», lo disse ridendo sonoramente,
senza allegria; «mangiare uova a colazione, andare al McDonald’s e mangiare
sempre e solo carne. Le feste, i barbecue. Vivere in uno di quei palazzi
orribili o dividere un minuscolo appartamento con altre dieci ragazze. No, non
credo. La mia vita è qui, lo sai». Nancy faceva fatica anche solo a guardarla,
e così si rivolse al Castel dell’Ovo, chiedendo aiuto alle sue misteriose
leggende, per aprirle la mente e farle capire di che diavolo stesse parlando
Nadia. «Queste sono solo scuse, anche banali se vogliamo, e lo sai. Ma di che
parli? Tu sei sempre tu, vai in America ma non vuol dire che devi dimenticare
cosa ti piace e cosa no. Oddio non sei più una bambina, se non vuoi la carne
non la mangi, se vuoi farti capire ti fai capire. Se non vuoi guardare al
futuro allora concentrati sul presente. La vita non è esattamente una
passeggiata Nadia, ma non puoi ostinarti a semplificare sempre ogni cosa.
Quindi spero che tu abbia una spiegazione migliore. O una scusa migliore,
o…insomma qualcosa di meglio! Un perché che non mi faccia arrabbiare, che non
mi faccia sentire come mi sento adesso». Nadia e Nancy si guardarono negli
occhi, a quel punto Nadia era quasi sorpresa, forse non si aspettava di perdere
l’appoggio, non stavolta. «Perché come ti senti?», chiese circospetta. Nancy ci
pensò su, non voleva dire cose che rovinassero tutto, però quello che le diceva
il cervello doveva pur esprimersi. «Delusa. O forse più scioccata, invidiosa
anche e…arrabbiata. Il destino è una linea fluttuante Nadia, ora sembra a tuo
favore ma domani…non lo so. Per esperienza ti dico che una seconda opportunità
non sempre arriva e comunque non sono proprio sicura che te la meriteresti».
Ora era a disagio, così guardò di nuovo il mare. Nadia sgranò gli occhi, aprì
tre o quattro volte la bocca ma non uscì alcun suono, esprimersi è difficile
quando senti che gli argomenti non sono a tuo favore. «Ma io non la voglio
un’altra occasione. Dai Nancy ci conosciamo…beh da sempre direi. Non dico che
tu debba capirmi per forza però non dovresti essere così acida. La mia vita è a
Napoli. Qui c’è tutto quello che voglio, gli amici, la famiglia, l’università.
Perché dovrei andar via per poi vivere peggio di come vivo adesso? Spiegamelo.
Ma perché devo lasciare il mio paese. No non voglio, perdonami se non fuggo
via, io resto e combatto. Tanti hanno lasciato, io voglio restare qui e vedere
che succede. Magari do una mano a rendere migliore la mia città, chissà. Di
certo non la mollo!». Nancy avrebbe voluto scattare in piedi e urlarle contro,
sarebbe stata una bella scena: «E come vuoi aiutare, sentiamo. Lo sappiamo
tutte e due come finirà, ti laureerai con il massimo dei voti, probabilmente, e
poi? Poi te lo dico io, metterai il tuo bel titolo in cornice e andrai a
lavorare nel negozio di tuo padre. Un ingegnere che vende souvenir ai turisti,
splendido. Non hai pensato che forse saresti molto più di aiuto se tornassi
dall'America armata dei tuoi studi e delle tue nuove conoscenze? Non hai
immaginato un futuro in cui tu, brillante laureata, dai lavoro ad altri o
semplicemente li aiuti nei loro studi? Oh Dio, che spreco!». Il mare sembrava
un po’ più increspato. Erano ormai parecchie le persone che facevano jogging,
perse nel loro mondo di musica e battiti cardiaci. Nancy non li invidiava
neanche più, tanto non faceva sport nemmeno prima. «Tu non capisci», Nadia
aveva recuperato un tanto di distacco, «io non voglio deludere i miei. Sono
figlia unica e il negozio di papà va bene, lui lo adora e sarebbe la sua gioia
più grande vedermi prendere il suo posto. E poi cosa farebbero lui e la mamma
soli per ben due anni, lo sai che non sono giovani come i tuoi genitori e hanno
bisogno di un piccolo aiuto ogni tanto. Insomma non me la sento. Bisogna
accettare i propri obblighi e i propri limiti». Nancy fu sul punto di scappare,
invece strinse i denti e disse in un fiato: «Io sono su una sedia a rotelle da
più di dieci anni, non venirmi a parlare di limiti». A quel punto a Nadia
vennero meno le parole. Perché in realtà era proprio così e a volte lei lo
dimenticava. Tredici anni prima di quella conversazione uno stupido incidente
d’auto aveva tolto a Nancy la possibilità di camminare, per sempre. E quel per
sempre aveva gettato Nadia nella tristezza più profonda, terrorizzata all'idea
che ogni cosa sarebbe cambiata in maniera irreparabile. Lei e la sua amica
avevano delle abitudini, dei rituali a cui lei teneva moltissimo: i tuffi dagli
scogli, le corse in bicicletta nel viale davanti casa, rannicchiarsi nel loro
nascondiglio segreto per parlare di quello che gli adulti non potevano capire.
Tutto un mondo era scomparso dopo l’incidente e Nadia non aveva trovato la
forza di reagire, così Nancy l’aveva fatto anche per lei. La verità era che le
due ragazze avevano in comune solo l’iniziale del nome e la testarda
convinzione che l’altra fosse la propria amica del cuore. Nient’altro, due
opposti sempre insieme, sempre a sorreggersi…ma il sostegno finiva per essere
sempre lo stesso, sempre lei, mentre Nadia sbandava continuamente. Quando
l’aveva vista per la prima volta sulla sua sedia non aveva potuto fare a meno
di piangere, mentre Nancy le sorrideva dolce e determinata. Avevano parlato del
futuro, delle nuove prospettive e Nancy sembrava essere nel mezzo di una
ristrutturazione, stava ristrutturando i suoi sogni e le sue aspirazioni. Nadia
aveva visto i lavori in corso ed aveva tenuto a bada la paura, magari i
cambiamenti sarebbero stati gestibili. Ed ora eccola lì, Nancy, incavolata
perché la sua migliore amica rifiutava per l’ennesima volta il cambiamento. «Ma
tu senza di me sapresti stare?», Nadia lo chiese con un tono quasi
canzonatorio, dietro al quale era facile leggere la necessità di una risposta
negativa. Nancy non riusciva a credere alle sue orecchie: «Non mettermi in
mezzo, non osare. Sono solo due anni, e comunque io andrei avanti con la mia
vita, lo sai che lo farei. Dio Nadia potresti essere fortunata e rimanere lì
oppure tornare qui da vincitrice, io sarei contenta lo stesso. E poi almeno una
volta ti verrei a trovare»; «Su una sedia a rotelle?»; «Si, su una sedia a
rotelle. Sai che posso fare tante cose? Sai che posso addirittura salire su un
aereo? E lo farei, anzi lo farò alla prima occasione. Ho spesso bisogno di
aiuto, te lo concedo, ma sono viva e vado avanti. A me sembra che quella che
non cammina sia tu!». «Ora non essere ingiusta!» urlò Nadia, «non sono
immobile, solo altruista. Scusami tanto se penso alle conseguenze di una mia
partenza. Ho dei genitori e degli amici, ma sembra che a te non interessi!».
Nancy si lasciò andare, stanca, sulla sua sedia. Da lontano vide suo padre
venire verso di lei. Era venuto a prenderla, dovevano tornare a casa per poi
andare all'università. Nancy non era un futuro ingegnere, non sentiva di avere
il cervello di Nadia ma il design era la sua passione e non aveva rinunciato,
al diavolo le difficoltà. «A me non sembri altruista, mi sembra solo che usi
gli altri, tutti noi, come scusa per nascondere le tue paure. Ti saluto, ora
devo andare». Si mise a correre con la sua sedia e raggiunse il padre. Il
percorso in macchina fu silenzioso, sembrava che Nancy e suo padre avessero
altro a cui pensare. Arrivati a casa la ragazza trovò la mamma ad aspettarla
sulla porta, aveva una busta da lettere nelle mani. I genitori le comunicarono,
con un misto di esitazione e gioia, che era arrivata quella mattina ed era
indirizzata a lei.
Continua...
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