Annù
di
Valeria Rago
«Li
hanno riaperti hai visto Annù? Stamattina ero così contento… pure di mettermi
questa mascherina ero contento. Ma fa sudare Anna, qui fa già caldo che sembra
estate. Tu te ne sei accorta? Aspetta che mi sistemo… mamma mia che mal di
schiena!».
Gennaro,
80 anni, si guardò attorno per capire se ci fosse parecchia gente. I vialetti,
però, erano quasi vuoti. Strano pensò, lui appena ne aveva avuto la possibilità
era corso lì. Aprì piano piano il suo sgabello pieghevole e, con mille
attenzioni, si sedette davanti ad Anna, sua moglie per quarant'anni.
«Ti
sono mancato Annù? Tu si, tantissimo. Io non sapevo con chi parlare, a chi
raccontare i fatti miei. Non vedo i nostri figli da due mesi ma hai saputo sì? Oggi
mi possono venire a trovare. Hanno detto che vengono ma che dobbiamo mantenere
le distanze. E vabbè che fa ho risposto io, pure da lontano vi voglio bene.
Chissà come è diventata Anna, la piccolina. Io poi dal telefono non riuscivo a
capire niente, non vedevo bene, chissà come sono cresciuti tutti. Già lo so che
come li vedo mi metto a piangere e Tommaso… quel disgraziato… mi prenderà
subito in giro. Sarà così… io mi commuovo solo se ci penso. Non vedo l’ora… ho
comprato pure i cioccolatini e i biscotti, aspetta mo te li faccio vedere così
poi mi dici se vanno bene per i bambini. Queste cose le sapevi tu mica io…».
Si
chinò per recuperare la busta con la spesa e, dopo aver rovistato per qualche
secondo, estrasse un pacco di biscotti e due tavolette di cioccolata.
«Che
ne dici, vanno bene? Mi sono ricordato che quando vedevano questi biscotti
facevano una festa. Speriamo. Ma poi che ne so io? Questi giovani cambiano idea
ogni minuto e io non riesco a stargli appresso».
Improvvisamente
si fermò con i biscotti ancora in mano, rimase immobile con la confezione a
mezz'aria e un’aria corrucciata.
«Sei
silenziosa Annù, non mi rispondi. Che è successo? Dopo due mesi non mi
riconosci più? O sei arrabbiata con me? Eh… se sei arrabbiata forse ti posso
pure capire».
Gennaro
rimise i biscotti e il cioccolato nella busta che poi tornò a terra. Quasi a
disagio tirò un profondo respiro girando attorno lo sguardo. Una signora con
una mascherina grigia camminava piano con dei fiori bianchi in mano. Sembrava
persa nei suoi pensieri e procedeva come in un sogno. Appena vide Gennaro,
però, sembrò spaventarsi e si allontanò a passi rapidissimi. Erano tempi
strani, la vicinanza non sembrava più essere una cosa bella. Gennaro si rivolse
nuovamente a sua moglie.
«Sono
vecchio Anna. Mi ci sento. Non c’entra nemmeno l’età, non per me almeno. Io mi sento
vecchio… come ti devo dire nei pensieri, nelle idee. Nelle paure che non ho.
Cioè… questo virus me l’ha proprio fatto capire. Io non ho paura della morte
Annù, nemmeno un pochino mi capisci? Non me ne importa proprio. Ma si deve
avere paura della morte penso io. È giusto. Ci sono i progetti futuri, le
persone care, i bambini che vuoi vedere crescere. Ecco… mi sa che io non penso
a quello che posso fare ancora, non mi viene di pensarci. Non ne ho voglia e
non riesco proprio a immaginare come sarà dopo. Chi si è chiuso in casa, chi
non dorme per la paura, ho letto certe storie. Vincenzo, te lo ricordi? L’amico
mio ingegnere. Quello è andato in paranoia, disinfetta qualunque cosa… ma se
stai chiuso in casa da solo da due mesi ma che disinfetti a fare tutti gli
oggetti? Non lo so… quando mi chiama è capace di farmi venire l’angoscia pure a
me. E io invece? Di norma sto bello tranquillo e sereno. Sono sempre andato io
a fare la spesa lo sai? I nostri figli non lo sanno, quindi acqua in bocca eh!
A loro ho detto che me la facevo portare a casa ma non era vero. Meno male che
abitano tutti lontano da Torre Annunziata se no una volta o l’altra pure mi
beccavano. Era bello invece. Con la scusa della spesa mi facevo pure una
passeggiata, prendevo un poco d’aria. Non si poteva fare, lo so ma che vuoi io
a stare sempre costretto in casa mi iniziava a mancare il respiro. Solo il
coraggio di arrivare fino al mare mi è mancato… troppo lontano».
Si
zittì per un attimo.
«Ma
che è Annù non mi rispondi proprio? Sei così arrabbiata con me?».
Gennaro
cominciò ad agitarsi e a gesticolare.
«Ma
dimmi tu io che cosa dovevo fare? Dimmelo forza. Lo so, lo so… quando eri con
noi sapevi sempre tutto tu. Mo pure dentro a questo cimitero mi devi far
sentire in colpa? Eh no, non va bene così. Non è giusto. Io ho fatto quello che
dovevo fare. Il mio compito era aiutarli e quello ho fatto».
A
fatica si alzò dallo sgabello per aggiustare i fiori freschi che aveva appena
messo vicino alla foto della moglie. Il senso di colpa che montava a poco a
poco. Dentro sentiva una tempesta ma lui lo sapeva, ne era sicuro: se Anna
fosse stata viva avrebbe risolto il problema senza fare quello che aveva fatto
lui. E la tempesta diventava tormento.
«Lo
sai che Carlo forse non riapre proprio? Il suo già era un negozietto minuscolo…
una commessa teneva e l’ha già licenziata. I pianti che si è fatto a telefono.
Aveva qualche piccolo debito, niente di irreparabile ma adesso non sa più come
fare. Il fitto è troppo alto e lui ha deciso di non riaprire a meno di
miracoli. E come provvede alla famiglia? E Diego? Sta in cassa integrazione lo
sapevi? L’azienda nemmeno sa se lo riprende a lavorare… per ora non hanno
ordinativi e tutti a casa. Così hanno detto. Voglio proprio vedere come si
fanno a sfamare tre figli senza soldi. La moglie lo sai faceva qualche soldo
andando nelle case a fare due servizi ma adesso sono due mesi che non prende un
euro. Chissà quando le signore la chiameranno di nuovo. La gente ha paura di
far entrare estranei in casa e che torto vuoi dargli? Di Sara non ne parliamo
proprio, disoccupata era e disoccupata è rimasta. Mo dopo questo schifoso di
virus quando la trova una fatica? Suo marito pure è in crisi…Il momento è nero
Annù. Si fa qualsiasi cosa. Qualsiasi cosa. Non accetto rimproveri su
questo».
Si
chiuse in un mutismo rancoroso lanciando ogni tanto uno sguardo torvo alla
tomba. Ma una lapide non fa sconti a nessuno. Se hai qualcosa che ti morde la
coscienza non puoi aspettarti sollievo da qualcuno che ha perso la vita e
occupa il proprio tempo a giudicare quella degli altri. Nel bel mezzo del
cimitero di Torre Annunziata Gennaro cercava l’assoluzione da chi meno di tutti
poteva dargliela. E così cedette.
«E
va bene Annù, hai ragione tu. Come al solito. Io lo so che non lo dovevo fare,
ma stare a guardare soltanto… non mi pareva giusto. E poi se le mani se le
sporcavano loro che succedeva? A questo non pensi? Loro sono giovani, tengono
famiglia, figli piccoli. No, no altre soluzioni non c’erano. Ho fatto tutto per
bene. E poi Anna mi hanno pagato pure troppo per quello che ho fatto. Che cosa
ho fatto in fondo... ho consegnato pacchetti, con la scusa della spesa per me
consegnavo pacchi e buste ad altri. Questo ho fatto Anna che ti credi. Che
c’era nei pacchi? Bella domanda. E chi lo sa? E nemmeno voglio saperlo. Non mi
interessa. Io so solo che mi hanno pagato… tanto mi hanno pagato… e io mo posso
aiutare i figli nostri. Ti fa schifo? Dillo se hai il coraggio!», urlò
improvvisamente con tutta la rabbia di cui era capace. Un ragazzo poco lontano
si girò di scatto e Gennaro vide che aveva pianto. Non era quello il luogo per
scaricarsi la coscienza. Quasi accasciandosi sullo sgabello riprese a parlare,
con un filo di voce. Solo il potente udito di Anna poteva cogliere le sue
parole.
«Fa
schifo pure a me Annù. Fa schifo pure a me. Adesso ho i soldi ma non li ho
ancora dati ai ragazzi. Devo prima inventarmi qualcosa per giustificarli. Mica
è una cosa facile! Però Anna tu non sai tutto. Io i figli nostri li ho
sistemati proprio bene! Avranno altri soldi. Sapessi che idea ho avuto».
Gennaro si illuminò tutto, sembrava quasi febbrile nel parlare.
«La
casa nostra a loro deve andare no? Però devono aspettare per avere i soldi. E
che devono aspettare Annù? La mia morte mi pare ovvio. Ma io non muoio Anna,
non adesso. Non mi sento che succederà presto. Che vuoi fare io così penso. E i
figli nostri mica possono aspettare i comodi della mia fine no? Ecco. L’ho
fatta valutare. La casa dico, la nostra casa. E pure ha il suo valore… però ho
pensato che potrebbero pure fittarla e avere una rendita mensile. La posizione
è buona, un poco di soldi al mese li possono chiedere. Si è la soluzione
migliore per tutti. Io lascio la casa e loro ne fanno quello che vogliono.
Questo pensiero mi fa sentire contento. A che mi serve quella casa? A niente.
Ho messo tutto a posto Annù. Eh ma adesso me ne devo andare, scusami se sono
rimasto poco ma tanto più di mezz'ora non fanno stare con queste nuove regole. Comunque
devo pure mettere un poco in ordine prima dell’arrivo dei nipoti no? Sono
emozionato guarda qua non riesco nemmeno a piegare sto sgabello. Mi tremano le
mani. Io me ne vado allora. Se posso ci vediamo domani. Ciao Annù».
Gennaro
iniziò ad allontanarsi piano ma poi si voltò di scatto, richiamato da qualcosa
che aveva sentito solo lui.
«Che hai detto Anna? Lascio la casa e dove vado ad abitare? Non te l’ho detto? Ma come non mi hai sentito? Te lo ripeto. Mi sento vecchio, forse pure un poco stanco. Questa cosa che ho fatto… i pacchetti… diciamo che non sono contento ecco. E poi Annù la verità è che magari tra un anno o due avrò io bisogno di assistenza
… mi viene un colpo… e chi mi aiuta? Una badante? Eh… facile a dirsi. Ma lo sai la mia pensione fa ridere le mosche… sarei un peso. C’è un solo posto dove posso andare, è gratis e lì sarei accudito benissimo». Gennaro si girò di nuovo per andarsene e, dando le spalle alla tomba della moglie aggiunse: «Vengo da te Annù. Vengo da te finalmente».
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